Il Progetto “Moksa, le vie dello Yoga”:
Il termine sanscrito Moksa viene spesso tradotto con “liberazione” ed è indicato come il fine ultimo a cui tende la pratica dello Yoga. Secondo la cultura induista coincide con il definitivo abbandono della concezione materiale e mondana dell’ego e il ristabilimento della propria natura primaria, ovvero la fine del ciclo delle reincarnazioni.
Un’altra traduzione è “sciogliere un nodo”, accettare il proprio ruolo e vivere in maniera coerente con il Sé, la famiglia e la società.
Queste interpretazioni servono a rendere questo termine un po’ meno astratto, facendoci capire che non c’è nulla di difficile che ci venga chiesto di fare se non essere noi stessi e accettare chi siamo.
Nel mondo occidentale si parla tanto di Yoga, un po’ come attività fisica (con tutte le sue declinazioni più o meno tradizionali, più o meno performative), un po’ come disciplina tout court che può aiutarci ad affrontare (e forse gestire) meglio la frenesia del nostro vivere moderno.
Il mio primo insegnante di Yoga mi ripeteva sempre: “lo Yoga è tutto!”. Ammetto che inizialmente la frase, pur nella sua semplicità, mi risultava astratta. Solo con gli anni, la pratica e lo studio ho si è reso evidente che quella frase, oltre a essere vera, è assolutamente concreta. L’esecuzione degli Asana non è che la punta di un iceberg, quando si comprende che lo Yoga va al di là di quel piccolo spazio sacro che è il tappetino e invade il nostro essere, insegnandoci a osservare e ad ascoltarci.
Lo Yoga parla di relazioni: ci insegna a sentire come le nostre cellule, piccolissime, si siano sempre conosciute e siano sempre state in contatto tra loro. Ci racconta che le nostre ossa sono un incastro perfetto e che una non è mai sostituibile con un’altra.
Allo stesso modo, lo Yoga ci restituisce la consapevolezza del nostro ruolo nella natura, insegnandoci a vivere secondo i suoi ritmi: è nella sintonia con i ritmi naturali che risiede il seme della nostra salute.
La mia difficoltà iniziale nel capire una frase semplicissima come Yoga is everything dipendeva dal fatto che stessi guardando allo Yoga applicando le strutture analitiche del sapere occidentale, per cui per me lo Yoga era quello che facevo sul tappetino, era una stanza con un insegnante che mi diceva cosa fare, erano gli Asana nei quali aprivo il mio corpo, era il mio impegno, la mia costanza. Solo quando mi sono concessa alla trasversalità dell’esperienza e della conoscenza, lo Yoga si è rivelato con tutta la sua grandezza, facendomi toccare con mano l’universalità del suo sapere.
Così è cambiato il mio approccio alla pratica e all’insegnamento, trasformando gli Asana da pratiche fisiche a stati dell’essere, lasciando del tutto cadere l’idea di come una posizione debba essere fatta, ma ricercando esclusivamente la relazione con il Sé. Perché lo Yoga ci insegna che il viaggio più bello che possiamo intraprendere è quello verso noi stessi.
L’idea che sta dietro al progetto “Moksa. Le vie dello Yoga” è proprio quella di divertirci, esplorando i tanti livelli su cui lo Yoga ci fa giocare. Dall’Ayurveda alla Medicina Cinese, dagli Asana alle tecniche di Pranayama, dal ciclo delle stagioni al nostro modo di vivere moderno, proveremo a essere curiosi di noi stessi, proveremo a osservare e ad ascoltarci.