Vrkasana
Oggi è Natale e ormai, per tradizione, siamo affezionati a diversi simboli che caratterizzano questa ricorrenza e senza i quali quasi non la riconosciamo. Uno di questi è l'albero.
L’abete è un albero sempreverde che già in epoca pagana veniva considerato un simbolo di vita. Così è rimasto anche per gli antichi romani, approdando poi nel Cristianesimo come raffigurazione stessa del figlio di dio e testimonianza dell’Eden.
Dobbiamo aspettare il XV secolo per rintracciare il primo vero albero di Natale per come lo conosciamo noi. In Estonia il suo scopo era quello di riunire intorno a sé i giovani della comunità per ballare e così creare nuovi rapporti. L’aspetto più consumistico iniziò quando in Svizzera e Germania iniziarono a commerciare alberi di Natale, che divennero così più popolari e diffusi.
In Italia, la prima ad addobbare l'albero fu la regina Margherita al Quirinale, nella seconda metà dell’Ottocento, e da lei la moda si diffuse velocemente in tutto il paese.
Chi pratica Yoga sa che uno degli asana più conosciuti è proprio l’albero, Vrkrasana. Ma qual è la sua storia?
Quando il re demone Ravana rapì la regina Sita e la portò a Lanka, sapeva che l’amore non avrebbe tardato ad arrivare. Dopotutto, molte altre donne prima di lei si erano innamorate di lui. Ravana era forte e bello (una volta abituati alle sue dieci facce), potente e straordinariamente ricco. Il suo palazzo era da sogno. Insomma il re era come una droga: dava forte dipendenza, e allo stesso tempo era irresistibilmente affascinante. Egli offrì a Sita tutti i piaceri di cui era in possesso, ma lei riuscì a rifiutarli tutti.
Soprattutto le propose di farne la sua moglie principale, ma Sita rifiutò.
«Io sono tua prigioniera, non tua ospite» disse, «e non sarò mai la tua donna. Ricorda, io sono la moglie di Rama, lui mi troverà, e quando lo farà desidererai non avermi mai incontrata.»
«Sono un uomo generoso» rispose Ravana, «ogni giorno per un anno intero ti chiederò di essere mia sposa. Se dopo questo anno ancora mi rifiuterai, io ti mangerò.»
Tra le mura del palazzo, sorgeva un boschetto di alberi di Ashoka. In sanscrito Ashoka significa letteralmente “senza dolore” e per questo nella tradizione indiana queste piante sono simbolo d’amore, ma hanno anche un forte potere curativo. Sita viveva nel boschetto, assieme alle persone che Ravana aveva mandato per controllarla: creature mostruose con volti di capra, pesce e cane e un numero insolito di occhi e arti. Sebbene Sita non subisse mai violenza fisica, questi mostri la tormentavano continuando a ripeterle che Rama non l’avrebbe mai trovata, che non si sarebbero mai più rivisti. Sostenevano che una donna di tale regalità e bellezza apparteneva a una reggia come Lanka, non alla foresta dove viveva con suo marito. «Dimentica Rama e pensa a tutto ciò che Ravana potrà donarti. Del resto, da qui non c’è modo di uscire vivi.»
Sita sedeva, la schiena appoggiata a un albero di Ashoka, respirando lentamente e aspettando. Tutta la sua concentrazione era rivolta a Rama e a ogni battito del suo cuore ripeteva: «Rama, trovami». Sussurrò agli alberi il suo amore e il desiderio di essere ricongiunta al suo amato.
Sita era figlia di Bhumi Devi, la terra, e sentiva fortissimo dentro di sé la connessione con tutte le cose radicate e che crescono. Gli alberi sono creature pazienti, sanno come resistere ai cambiamenti del giorno e della notte, delle stagioni e del clima. Silenziosamente gli alberi di Ashoka iniziarono a parlare a Sita: «Resta immobile, dolce sorella. Rimani calma e costante come noi. Le stagioni cambiano e la tua prigionia non durerà per sempre. Rimani ferma e conserva il ricordo di Rama».
Intanto Rama, furioso, aveva convocato Hanuman, la sua scimmia combattente. Hanuman aveva il potere di assumere qualsiasi sembianza ed era pronto a fare tutto ciò che Rama desiderasse. «Vai e trova Sita, ma non spaventarla. Quando la troverai, mostrale il mio anello e lei saprà che ti mando io.»
Un giorno Sita udì un nome sussurrato sottovoce: «Rama, Rama». Era Hanuman, nella forma di una piccola scimmia. Appena pronunciato il nome del suo amato, il cuore le disse di fidarsi del bizzatto messaggero ancor prima le venisse mostrato l'anello d'oro con "Rama-Rama-Rama" inciso al suo interno.
Come Hanuman arrivò in quel boschetto di Ashoka è un'altra storia, ma è sufficiente dire che la sua visita ha ripristinato la connessione di Sita con il suo amato.
Come abbiamo visto anche in questo caso, gli alberi compaiono nella letteratura sacra indiana sia come simboli dell'universo sia come collegamento tra dio e l'individuo. Nello Yoga, con l'asana dell'albero prova a immaginare te stesso sia come Sita sia come albero.
Sita, rapita e tenuta prigioniera, trae forza e conforto dalla natura. Il contatto con la terra radica la sua attenzione su Rama, che è, ovviamente, non solo suo marito, ma dio, la personificazione del valore ultimo. Il suo corpo può essere costretto, ma la sua mente è libera.
L'albero, paziente, stabile e profondamente radicato, offre riparo a chi si rifugia sotto i suoi rami, la schiena rannicchiata saldamente contro il suo tronco.
Sediamoci con le spalle appoggiate a un albero e sentiamo che respira con noi. Ci vuole molto per scuotere un albero: appoggiamoci a lui e percepiamo la sua profonda calma.
Nel linguaggio della simbologia yogica, la colonna vertebrale è raffigurata come un albero, autostrada della nostra energia vitale, che mette in comunicazione la terra con il cielo… ma a questo dedicheremo un nuovo post!
Indicazioni:
Partendo da Tadasana, radica lo sguardo (drishti) su un punto preciso, meglio se a terra. Porta il peso su un piede e osserva bene la pressione a terra dei quattro punti di appoggio, per sentire così la posizione radicata e stabile. In espirazione assorbi l’addome verso la colonna vertebrale, creando una piccola contronutazione della corolla lombare che consenta l’estensione in inspirazione. Piega un ginocchio e appoggia il piede della gamba piegata il più in alto possibile all’interno della coscia della gamba distesa evitando di creare pressione direttamente sul ginocchio. Le mani possono essere raccolte in Anjali Mudra davanti al cuore oppure le braccia possono salire al cielo e con le mani prendere il Chin (Gyan) Mudra; è anche possibile appoggiare una mano sul ginocchio della gamba piegata e distendere l’altro braccio al cielo.
Una volta posizionate le braccia, posso decidere se sollevare lo sguardo all’altezza dei miei occhi.
Benefici:
- migliora l’equilibrio, sia a livello fisico sia a livello mentale;
- rafforza legamenti e tendini dei piedi;
- rafforza i muscoli interni delle gambe, fino alla parete pelvica;
- equilibra Mooladhara Chakra (root Chakra) che regola i bisogni fondamentali di ogni essere vivente: sicurezza e sopravvivenza;
- radica e pacifica mente e corpo: asana perfetto per rallentare e respirare quando i ritmi ci sopraffanno;
- allunga inguine, interno coscia, petto e spalle. Ottimo per la mobilità delle anche.