Vinyasa
Per l'anno nuovo diamo un primo sguardo al Vinyasa. Il termine sanscrito è composto dalla radice VI, che significa “in modo speciale”, e dal termine NYASA, che sta per “dare una collocazione, sistemare”.
Nella tradizione yogica, con questa parola si intende la sincronizzazione del movimento fisico con il respiro. Attraverso questa tecnica, il praticante acquista profonda consapevolezza di sé e maggiore armonia nel movimento.
Creare un accordo fra movimento e respiro vuol dire capire appieno come quest’ultimo agisca nel nostro corpo. L’inspirazione, per esempio, espande naturalmente l’addome e incoraggia l’estensione della colonna vertebrale. L’espirazione, al contrario, permette di riassorbire l’addome verso il centro del corpo, creando una contrazione. L’inspirazione, quindi, ci aiuta a entrare in particolari gruppi di asana, a estendere e inarcare la colonna, muovendoci contro la forza di gravità. L’espirazione, invece, si accorda con i movimenti verso il basso che, quindi, assecondano la forza di gravità.
Più avanti, in altri post, dedicheremo un più ampio approfondimento al tema dei Vayu, ovvero i cinque soffi vitali (Panca Prana o Panca Vayu), che si manifestano dentro e attorno a noi e agiscono proprio in questo matrimonio tra il fluire del corpo nel movimento e il sostegno offerto dal potere del respiro.
L’idea di fondere il respiro con il movimento sembra talmente naturale che la si dà per scontata, eppure è la sfida più grande che chi pratica si trova ad affrontare sul tappetino. Il respiro è la prima risposta a qualsiasi emozione o evento che viviamo e il più delle volte non ci accorgiamo di trattenerlo. Soprattutto quando la pratica si fa intensa o un asana risulta meno comodo, tendiamo a interrompere il flusso naturale del respiro oppure a velocizzarlo, nella speranza di uscire al più presto da quella posizione così difficoltosa. Se ci riconosciamo in queste parole, be', quello è il momento di fermarsi! Quando, per un qualsiasi motivo, il respiro non riesce a fluire in modo naturale, il corpo comunica che sta incontrando un limite. Una delle meraviglie dello Yoga è proprio quella di farci toccare con mano i limiti e, di conseguenza, tutte le emozioni correlate (rabbia, frustrazione, curiosità, gioia, e via dicendo), ma allo stesso tempo bisogna comprendere che oltrepassare i limiti non significa affrontarli. Una delle insegnanti più importanti del panorama yogico occidentale, Amy Matthews, ricorda che continuare a rilanciare i limiti significa non averne coscienza e quindi non ascoltare se stessi, smettere di essere responsabili e curiosi verso il proprio sé.
Come abbiamo già visto, a tal proposito Bernie Clarck, nel suo libro "Your Body Your Yoga" del 2016, spiega che: "Nello Yoga il limite è lo spartiacque tra la sfida e il cambiamento. […] C’è il limite fisico, oltre il quale è rintanato l’infortunio. C’è il limite emotivo, oltre il quale risuonano lacrime e risate. C’è anche il limite psicologico, oltre il quale atteggiamenti psicotici possono emergere. Infine c’è il limite spirituale, oltre il quale ci aspetta la libertà. I limiti ci dicono quando qualcosa sta per succedere: a volte in bene, a volte in male”.
Quella del respiro è la sfida più grande che lo Yoga ci insegna, perché avere controllo del respiro significa essere presenti a noi stessi; vuol dire vivere nella consapevolezza che non esiste nient’altro al di fuori del momento che stiamo vivendo. Per dirla con un’espressione cara alla Medicina tradizionale cinese: siamo nella nostra Hara.
Proviamo, quindi, a praticare muovendo dal nostro respiro; non abbiamo bisogno di ricercare lo sforzo muscolare nella pratica, se questo significa perdere il flusso tra inspirazione ed espirazione. La vera sfida, invece, è fare un passo indietro, chiudere gli occhi e sentire dove si trova il respiro. Ci sono parti del corpo in cui ho più difficoltà a percepirlo? Cosa posso fare per invitarlo dall’interno? Sono domande alle quali posso rispondere solo prestando ascolto, lasciando al "testimone che mi vive dentro" (la Buddhi) la guida in un processo di scoperta, senza prefiggermi obiettivi da raggiungere che possano in qualche modo rendermi meno sensibile ai segnali che ricevo dal corpo o dall’ambiente che mi avvolge.
Un’altra accezione di Vinyasa è quella di Yoga dinamico, ovvero sequenze di asana che si sviluppano seguendo un’armonia e un’intelligenza intrinseche, fondendo respiro e movimento. Le sei serie di Ashtanga di Sri Pattabhi Jois sono forse l’esempio più famoso. Maestro di Jois è Krishnamacharya, il quale non solo insegnava specifiche sequenze di Vinyasa, ma enfatizzava questa pratica come un abile approccio alla vita, alle abilità individuali, alla consapevolezza del sé, alla cura, alle relazioni interpersonali e alla realizzazione personale. La pratica del Vinyasa Yoga ci richiede un’attenzione costante affinché si possa collegare un movimento al successivo, un’ispirazione all’espirazione che ne consegue.
Nello specifico Krishnamacharya fonda uno Yoga dinamico chiamato Vinyasa Krama, che si basa su una progressione di asana volte al raggiungimento di un obiettivo specifico, che sia l’esecuzione di un determinato asana, l’attivazione di uno dei Panca Prana (5 soffi vitali), e via dicendo
Attualmente in Occidente sono tanti i nuovi stili di Vinyasa, tra cui Power Yoga, Rocket Yoga, Vinyasa Flow, Shiva Flow.
In generale durante la pratica quando si usa il termine Vinyasa, si fa riferimento a una breve sequenza di posizioni che utilizziamo per collegare tra loro asana o sequenze di asana. Le posizioni che lo compongono, e che vedete qui illustrate, sono: Tadasana, Urdhvastasana, Uttanasana, Ardha Uttanasana, Chaturanga Dandasana, Urdhva Muka Svanasana, Adho Muka Svanasana.
Poi, come avremo modo di vedere di frequente, lo Yoga risponde prima di tutto a una sola regola, quella del "dipende". Questa sequenza di asana appena riportata, infatti, può essere modificata in base alle esigenze; per esempio sostituendo Chaturanga Dandasana con Ashtanga Namaskara o Urdhva Muka Svanasana con Bujangasana. L’universalità dello Yoga risiede anche nella sua infinita gamma di possibilità, che lo arricchisce e che ci permette di adattarlo a noi.