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Vata Doṣa

Con il post di oggi iniziamo ad addentrarci in una tematica che riguarda non soltanto la pratica dello Yoga, ma anche, e soprattutto, la scienza ayurvedica. Parliamo di Doṣa, della loro origine e di come influenzino la nostra natura. 

Per risalire all’importanza del concetto di Doṣa, o natura primaria, dobbiamo rifarci al sistema vedico del Samkhya e alla sua descrizione della creazione del mondo, ovvero il passaggio dal non manifesto al manifesto. In questo Darana, o sistema filosofico, l’universo tour court e il genere umano condividono un’origine comune e l’individuo è concepito come un’unità microcosmica, riflesso del più vasto universo macroscopico. 

 Non mi soffermerò sui vari stati di manifestazione della materia e del suo discendere dall’intelligenza universale all’intelligenza individuale; in questa sede ci basta sapere che il Prana – il primo soffio, l’essenza energetica e vitale che pervade ogni forma di vita biologica – dà origine al primo Doṣa bioenergetico, ovvero Vata, dal quale prendono forma gli altri due Doṣa: Pitta e Kapha. 

Il termine Doṣa significa letteralmente “errore”, “danno”, “qualcosa che va in squilibrio”, il che fa riferimento alla loro capacità di alterarsi e di cambiare la condizione esistente. Questo effetto apparentemente disgregante è, in realtà, un meccanismo omeostatico positivo volto al mantenimento della salute corporea. Nella medicina indiana, l’Ayurveda, individuare quali sono gli sbilanciamenti dei Doṣa serve a comprendere il tipo di malattia cui è soggetta la persona e quindi la cura adeguata per riportare, ove possibile, lo stato di salute.

I tre Dosha sono composti dai cinque elementi (Panca Mahabutha) di cui la realtà è costituita: etere (Akhás), aria (Vayu), fuoco (Tejas), acqua (Jala), terra (Prtrivi). 

 Ogni individuo ha in sé il seme di quella che viene chiamata Prakrti, ovvero la costituzione primaria che è la commistione, in proporzioni diverse, dei tre Doṣa. La natura primaria di ciascun individuo è determinata al momento del concepimento e lo rende unico, rimanendo la stessa per tutta la vita. I fattori che concorrono alla determinazione della Prakrti sono: i geni materni, i geni paterni, la condizione uterina e lo stato nutrizionale della madre, la stagione dell’anno e il Karma.

Affermare che la natura primaria rimanga la stessa per tutta la vita può sembrare una contraddizione, ma la variabilità della condizione dei Doṣa è legata a diversi stimoli esterni come i fatti che accadono nella vita, gli stimoli che arrivano dall’ambiente esterno e le scelte personali, che interagendo con la nostra natura primaria stimolano una reazione di adattamento. 

 Vata, il Doṣa a cui ci dedichiamo oggi, costituisce l’umore biologico dell’aria e dell’etere. Il suo significato letterale è “vento” che suggerisce una delle sue caratteristiche chiave: il movimento. Da esso, infatti, dipendono tutti i movimenti all’interno del corpo, a livello cellulare, tessutale, muscolo-scheletrico, di coordinazione, di acuità dei sensi. Vata, inoltre, controlla il sistema nervoso centrale e periferico. Per queste sue funzioni così importanti viene definito Doṣa Sovrano, anche se, molto spesso, fungendo da mezzo per l’attivazioni delle funzioni di Pitta e Kapha, viene chiamato Doṣa Servo.

Tra i cinque sensi, quello più spiccato per la persona Vata è il tatto, proprio perché per percepirlo c’è bisogno di movimento, ovvero di qualcosa che accarezzi la pelle.

La caratteristica principale che emerge in relazione al Vata è l‘irregolarità e le persone che rispondono maggiormente a questa natura avranno dei tratti, fisici e mentali, molto specifici. La loro ossatura, per esempio, sarà o molto piccola o molto grande, con giunture rumorose. Fisicamente appaiono generalmente magre, anche se è possibile che un forte sbilanciamento di Vata porti all’obesità. Le braccia e le gambe sono in genere lunghe, bacino e spalle risultano stretti. I capelli appaiono secchi, ricci e spesso deboli; la bocca piccola e dalle labbra sottili; i denti sono irregolari. 

Data la loro irregolarità, nelle persone Vata lo stesso carattere è rintracciabile nel sonno, nella digestione e nell’evacuazione. 

Sebbene amino il movimento, i Vata non sono particolarmente forti e spesso sono poco flessibili. Certamente è possibile trovare persone Vata con articolazioni estremamente lunghe, ma sono meno comuni. In entrambi i casi, la forza fisica non è un loro tratto distintivo e anche gli sforzi non possono essere sopportati per molto tempo. 

Incorporando al suo interno tutte le caratteristiche del movimento, la persona Vata è in genere molto veloce: parla a ritmi sostenuti e ha una capacità di comprensione rapidissima, sebbene la sua memoria non sia a lungo termine. Uno dei suoi punti di forza è la creatività che è vivacissima, il più delle volte, però, mancano la concentrazione e il radicamento per dare vita concreta a ciò che immagina. La sua mente (manas) è in costante movimento, generando pensieri sempre nuovi che a loro volta ne generano altri e in questo modo la mente del Vata non cessa mai la sua attività, anche se non si aggancia a un’idea per metterla in atto. Tutto rimane sospeso e non è un caso che l’aria sia l’elemento dal quale ha origine questo Doṣa. Le persone Vata soffrono spesso di insonnia, soprattutto tra le 2 e le 6 del mattino, la qual cosa è dovuta proprio all’attività espansiva e frenetica dei loro pensieri. Più avanti vedremo come anche gli altri Doṣa potranno avere gli stessi problemi, anche se generati da ragioni differenti. 

La persona Vata fa amicizia velocemente, ma ama molto la solitudine. Le sue emozioni sono: paura, coraggio, ansia, contentezza fino all’euforia, nervosismo, calma, tensione. 

Fra i disequilibri maggiori di Vata a livello mentale ci sono varie tipologie di psicosi soprattutto a tendenza autolesionista o alla dipendenza.

 Per aiutare una persona con un Vata molto alto dobbiamo prima di tutto cercare di rallentare la sua natura irregolare, consigliando ritmi di vita disciplinati e costanti. Nell’alimentazione dovrà evitare cibi crudi, secchi, croccanti o che aumentano l’aria (legumi), orientandosi di più verso cibi caldi e ben cotti. L’ambiente di cui circondarsi sarà calmo sicuro e tranquillo, con la prevalenza di tinte pastello e senza troppe stimolazioni sensoriali.

 E lo Yoga come può aiutare le persone che presentino uno squilibrio Vata?

Prima di tutto va fatta una distinzione fra le pratiche che piacciono al Vata e le pratiche che invece gli “fanno bene”. 

La persona Vata ama il movimento, per cui, come è facile immaginare, sarà un allievo modello nelle classi di Vinyasa, anche molto intense, con la predilezione per le posizioni che lavorano sulla parte alta del corpo e per le inversioni (che agiscono sui chakra alti). Come abbiamo visto in precedenza, non sono né particolarmente forti né flessibili, ma non riescono a star fermi. 

Di cosa ha invece bisogno nella pratica? Sicuramente della regolarità! Praticare alla stessa ora tutti i giorni e nello stesso posto aiuta la persona Vata a calmare le fluttuazioni della mente. Ma anche lavorare sul radicamento e quindi sulla parte bassa del corpo (chakra bassi) per alimentare l’idea dello “stare”. Infine rallentare il ritmo della pratica, portando l’attenzione al respiro e alla sua connessione con il movimento. Ciò che più di ogni cosa aiuta a pacificare Vata è la meditazione, che può essere introdotta da pratiche con particolare attenzione alle flessioni in avanti e al potere radicante dell’espirazione (Apana). 

Importanti sono anche le pratiche di Yin e Restorative Yoga.