VIRABHADRASANA 1
Il nome di questo famoso asana prende vita dal guerriero nato dalla rabbia del dio Siva, una volta appreso della morte della sua amata sposa Sita, come vi abbiamo raccontato in un nostro precedente articolo.
Per i praticanti Virabhadrasana 1 è un asana molto conosciuto, che troviamo sia in numerose sequenze che nella variante B del Saluto al sole dell’Ashtanga Yoga.
La sua esecuzione consiste nel separare i piedi in sezione sagittale; mantenere il piede anteriore ben dritto e piegare il ginocchio a circa 90 gradi, assicurandosi che rimanga in linea con la caviglia.
I piedi non devono essere sulla stessa linea, o meglio non è necessario. I nostri due femori non originano dallo stesso punto, anzi abbiamo circa 15 cm di distanza tra le due attaccature e quella distanza va mantenuta per la salvaguardia delle articolazioni. L’allievo che dovesse avere particolare rigidità o tensione nel centro del corpo potrà aumentare ulteriormente la separazione. Di contro, l’allievo che abbia una grande flessibilità o magari bisogno di contenere meglio il centro del corpo, accorcerà la distanza, fino a portare i piedi sulla stessa linea.
La gamba posteriore è ben distesa, il che vuol dire che è in estensione, attivando la muscolatura frontale; il piede inclinato a circa 45 gradi. Quella di 45 gradi è un’indicazione assolutamente generica, che non sempre rispecchia le possibilità del singolo praticante. Già in passato abbiamo più volte menzionato l’esigenza di trovare una pratica che sia individuale, sia a livello fisico sia a livello energetico. Se guardiamo le illustrazioni classiche che raffigurano questo asana, vediamo il più delle volte che il piede posteriore ha una angolazione di addirittura 90 gradi rispetto all’asse corporeo. Qual è quindi la più corretta posizione del piede? Ancora una volta la risposta è: dipende.
Come in tutti gli asana, anche in questo la posizione dei piedi non serve semplicemente a dare l’orientamento al corpo, ma crea un vero e proprio dialogo tra radicamento e innalzamento; tra giusto assetto muscolare e articolare e il focus dell’asana che è un piccolo inarcamento della colonna toracica.
Non importa, quindi, quale angolo scegliamo per il piede posteriore, fintanto che la spinta arrivi dal taglio esterno del piede e il peso non collassi sull’arco plantare, portando lo schiacciamento delle articolazioni di caviglia e ginocchio.
Spingere dal taglio esterno del piede significa convogliare la gamba verso il centro del corpo, facendo in modo che la testa del femore si allochi adeguatamente nell’articolazione del bacino.
Un escamotage per far sì che questo accada è chiedere all’allievo di sollevare le dita del piede posteriore.
Il lavoro di convogliare verso il centro non spetta soltanto alla gamba posteriore. Abbiamo detto che quella frontale ha il ginocchio piegato (e anche in questo caso l’indicazione dei 90 gradi è assolutamente variabile), ma l’azione del piegare la gamba non parte dal ginocchio, bensì dal piede. È la pressione del piede a terra, e soprattutto della base dell’alluce, che, attivando la muscolatura interna della gamba, consente la giusta stimolazione dell’arco plantare; l’allineamento del ginocchio sulla caviglia e il reintegro delle articolazioni verso il centro del corpo.
Le spinte delle due gambe verso il centro del corpo permettono di mantenere la frontalità caratteristica di questo asana e di distribuire il peso adeguatamente sui due piedi. L’immagine mentale che possiamo avere è quella del tappetino che si arriccia perché le gambe spingono entrambe verso il centro del corpo, attivando, per altro, il mhula bandha.
In questo modo, il bacino può essere richiamato a una morbidissima retroversione, rivolgendo il pube leggermente in alto, come se un filo immaginario lo legasse al soffitto.
La colonna vertebrale è bene eretta e, quando l’allineamento e il radicamento sono adeguati, il respiro immediatamente si libera nel petto, portandoci quella sensazione di leggerezza tipica degli asana che lavorano sui chakra alti (dal quarto al settimo). Lo spazio dove alloggia Hrdaya (il cuore) può espandersi permettendo una migliore risonanza della nostra vibrazione.
Le spalle sono rilassate e il più possibile distanti dalle orecchie. Da tradizione le braccia sono oltre la testa con i palmi delle mani uniti e le dita non intrecciate. Per molte persone questa è una variante decisamente impegnativa per spalle e schiena e pertanto ve sono numerose altre: dal separare semplicemente le mani, all’utilizzo del cactus mudra, o addirittura lasciare le mani appoggiate sui fianchi.
Personalmente un consiglio che vedo funzionare per gli allievi che riescono a tenere le braccia sollevate è quello di separare le mani e creare una piccola pronazione delle braccia, avendo cura che questa parta dalle spalle e non semplicemente dai polsi. È una piccola modifica che ci fa avere una più completa espansione del torace, permettendo lo scorrere di Prana e Udana.
Altro punto delicato è la posizione della testa: molti la reclinano indietro, cosa che, anche solo a vedersi, trasmette un senso di pericolo per il collo. Questa parte del corpo non è importante solo perché è la parte più mobile della colonna vertebrale, ma anche perché attraversata da importantissimi canali; è l’unica parte del corpo dove abbiamo un osso non attaccato ad altre ossa, ma incastrato in questo dedalo di muscoli, canali e tendini: l’osso ioide, che serve a salvarci la vita. Insomma, in collo è una delle case di Vata che, come sappiamo, è molto sensibile e con altrettanta sensibilità va considerato. La postura della testa è eretta; la sommità del capo, sede di Bramarandhra (porta di Brama) deve essere rivolta verso il cielo; la muscolatura del collo deve essere rilassata e la naturale curva cervicale mantenuta.
Come è ormai chiaro, “Yoga happens in millimeters”: questo significa che piccolissimi aggiustamenti possono portare aperture o addirittura importanti cambi energetici.
Le varianti di VB1 sono numerosissime. Tra tutte ricordiamo Viparita VIrabhadrasana, il guerriero di pace, che aumenta l’arco della colonna e punta un braccioindietro come a simboleggiare il guerriero che ritrae l’arma.
Anche in questo, come in tutti gli inarcamenti, il rischio è quello di approfittare della parte bassa della colonna, invece di lavorare sull’allungamento e dare ancora maggiore spazio alla parte toracica.