Kapalabhati

Kapalabhati

Kapalabhati

Oggi parliamo di una respirazione molto utile, soprattutto in questo periodo dell’anno: Kapalabhati.

Sebbene i testi classici della tradizione yogica descrivano Kapalabhati come uno dei Kriya, ovvero le tecniche di purificazione del corpo, questo esercizio può essere a tutti gli effetti considerato parte integrante del Pranayama, le tecniche di respirazione, dato il considerevole potere pranico che sprigiona.

La sua etimologia viene dai termini sanscriti Kapala, “cranio”, e Bhati, “pulizia, far brillare”, e consiste in brevi sequenze di espirazioni forzate seguite ogni volta da una inspirazione passiva. 

Kapalabhati è una respirazione diaframmatica, tuttavia il torace ha una funzione importante, nella misura in cui esso rimane assolutamente immobile nella posizione dell’inspirazione. 

La cintura addominale è il motore dell’esercizio, ma non perché è trattenuta e controllata, bensì perché, all’opposto, essa è totalmente rilassata durante l’inspirazione. I muscoli retti addominali, o muscoli retti, si contraggono bruscamente durante l’espirazione, causando una significativa fuoriuscita d’aria dai polmoni. Non importa quanta riusciamo a espellerne, ciò che conta ai fini dell'esercizio è la forza dell’espirazione. È tuttavia inevitabile che le ultime costole si muovano, a causa della trazione esercitata dai muscoli. 

 Gli effetti di questa respirazione sono numerosi e propizi per il nostro corpo. Riuscire a svuotare completamente i polmoni dall’aria residua è molto difficile, ma Kapalabhati rappresenta un processo di pulizia quasi totale. Se l’esercizio viene ripetuto per 2-3 minuti il tasso di anidride carbonica nel sangue scende rapidamente, purificando totalmente l’organismo. Il livello standard di Co2 si ristabilirà automaticamente riprendendo la normale respirazione. Allora ci si può chiedere, perché praticare Kapalabhati se il tasso di Co2 risale non appena terminato l'esercizio? Durante la naturale circolazione sanguigna le cellule non riescono a sbarazzarsi dell'anidride carbonica da loro stesse prodotta. La temporanea caduta del livello di Co2 indotta da Kapalabhati permette, quindi, anche alle cellule di ripulirsi completamente.

 Kapalabhati trasforma il diaframma in una pompa a grande erogazione: tutto il sangue venoso è ossigenato e tutto l’organismo si rigenera sotto l’effetto di questa respirazione, accrescendo il potenziale pranico del praticante e migliorando l'elasticità del muscolo deputato alla respirazione.

La tradizione indiana classica richiedeva ai praticanti più esperti di eseguire Kapalabhati solo in Padmasana, la posizione del Loto. Infatti le reazioni dell’organismo alle forti espirazioni possono essere tradursi in scosse così forti da percorrere tutto il corpo . Occorre perciò che le gambe siano solidamente accavallate tra di loro. 

 All’inizio abbiamo incontrato il significato etimologico della parola Kapalabhati legato alla pulizia del cranio. Essa avviene attraverso la modificazione del volume del cervello. Durante l’inspirazione, infatti, mentre riempiamo i nostri polmoni d’aria, il cervello diminuisce di volume e, al contrario, durante l’espirazione il volume aumenta. L’ampiezza di questa estensione è proporzionale a quella dei movimenti respiratori. Se pensiamo che il cervello è il più grande consumatore di ossigeno che abbiamo nel corpo, capite quanto importante sia l’ampiezza del nostro respiro. Kapalabhati, quindi, provoca un vero e proprio “lavaggio del cervello”: lo purifica, lo irriga, apre tutti i capillari e va a vivificare sia le cellule cerebrali sia quelle delle ghiandole endocrine, soprattutto ipofisi ed epifisi. Tutto questo accade senza alcun rischio, perché la pressione rimane sempre nei limiti fisiologici. 

Per renderci conto della potenza di questa respirazione è sufficiente, dopo una lunga giornata o in un periodo per noi particolarmente stressante, praticarla per 3-4 minuti. Le tossine vengono letteralmente spazzate via e con esse la nostra fatica, mentre il sangue "pulito" affluisce rapidamente nel cervello.

 Come controindicazioni, Kapalabhati presenta le stesse restrizioni di tutti gli altri Pranayama: coloro che sono affetti da patologie polmonari devono astenersi da questa pratica; i cardiopatici potranno eseguirla solo dopo un lungo periodo di preparazione sulla cintura addominale; l’enfisema non è una controindicazione. 

 È infine importante ricordare che Kapalabhati necessita di un allenamento progressivo. Nella tradizione classica vengono indicate 120 espirazioni al minuto, ma è un obiettivo da raggiungere per gradi e, soprattutto all’inizio, guidati da un maestro. In ogni caso i benefici di questa respirazione si verificano anche tenendo un ritmo più lento, senza però diminuire la forza di espulsione.

Kapalabhati, con il suo potere enormemente riscaldante ed attivante, andrebbe inserito all’inizio, o anche durante di ogni pratica (si sconsiglia di chiudere una pratica con questa respirazione), soprattutto nei mesi freddi. Possiamo evitarlo, invece, nei mesi estivi e sostituirlo con tecniche di Pranayama più indicate. 

Per questo articolo ci siamo inspirati al testo Pranayama, la dinamica del respiro di Andre Van Lysebeth (Astrolabio, 1971).