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Mahā Guna

«Non si può dire a qualcuno: “fai lo Yoga”. Uno studente deve supplicare per apprendere lo Yoga. Solo allora ci sarà lo spazio, il tempo, cioè l’energia necessaria per la scoperta. Ma non si può spingere questa maturità. Questo richiede anche molto tempo disponibile per l’insegnante. Si può insegnare lo Yoga, correttamente, solo a poche persone. Fortunatamente, per la maggioranza delle persone, quando una relativa tranquillità e gioia di vivere si presentano, esse tornano ai loro amori, ai loro affari.»

Questa è una brave citazione tratta da un discorso molto più ampio di Eric Baret, maestro e studioso francese, sugli effetti che la pratica dello Yoga ha su mente e corpo e che inizia a farci capire come questa disciplina agisca non solo a livello fisico, ma anche a un livello più sottile. Parlare di Yoga non significa limitarsi a enumerare nomi di asana e relativi benefici o indicazioni; lo Yoga è a tutti gli effetti una scienza che affonda le sue radici della più antica filosofia indiana. Quando si inizia a praticare Yoga, corpo e mente sono assorbiti dal meraviglioso viaggio di scoperta verso noi stessi che viviamo attraverso le forme che lasciamo assumere dal nostro corpo. Più riusciamo ad abbandonarci alla pratica e più curiosi diveniamo nei confronti degli effetti che essa ha su di noi a un livello sottile, ma diveniamo anche curiosi nei confronti delle sue origini antiche e per noi esotiche. Prima o poi suona per tutti il richiamo alla filosofia dello Yoga e vengono presi in mano grandi testi come gli Yoga Sutra di Patanjali o la Bhagavadgita, considerato un sacro estratto dal poema epico indiano Mahābhārāta. Attraverso a questi scritti classici si inizia a familiarizzare con i concetti che sono alla base di questa disciplina e che ci permettono di capire quanto la pratica degli asana non sia che l’inizio di un lungo percorso. 

 La filosofia indiana fonda il suo sapere sui Veda, o canoni della sapienza, dalla radice VID che vuol dire vedere, conoscere. Questi testi sacri sono stati rivelati direttamente dal dio Brahamā, creatore dell’universo. I Veda principali sono quattro libri di canti o mantra: Rg Veda, Sāma Veda, Yajur Veda e Atharva Veda. 

Da questi testi sacri nascono diversi sistemi filosofici, o Darana: tutti originano dalla sapienza dei Veda, ma alcuni ne rimangono fedeli, āstika, altri, di contro, se ne discostano e vengono chiamati nastikā. 

I Darana rimasti fedeli alla tradizione vedica sono 9 e oggi ci soffermiamo sul Sāmkhya e sul processo cosmogonico in esso descritto. Il processo di evoluzione dal non-manifesto al manifesto prende le mosse dall’idea che universo e genere umano condividano una comune origine e così l’individuo è concepito come un’unità microcosmica, riflesso del più vasto universo macrocosmico. 

Il motore immobile che dà origine al processo di creazione è il puro Essere, nel suo stato non-manifesto e viene chiamato Avyakta e da esso emanano due principi fondamentali: Purusa e Prakrti.

Il Purusa può essere identificato come “l’intenzione a muoversi”; esso è coscienza primordiale e viene associato al concetto di energia maschile, sebbene sia al di là della creazione, ma sia appunto l’intenzione al movimento. 

La Prakriti, di contro, può essere definita come ciò che si muove, trasformando lo stato emotivo di desiderio tipico del Purusa in energia materiale manifesta. In altre parole potremmo associare la Prakrti al concetto di Big Bang e possiamo ritenere che essa origini da un campo di energia zero. La Prakriti è la materia che evolve molto lentamente negli stati della realtà che conosciamo. Un antico sutra vedico descrive l’intento creativo della Prakriti: “Io sono l’Uno e desidero diventare il molteplice”.

 Dalla Prakriti scaturiscono tre qualità latenti che impartiscono direzione e carattere a tutto ciò con cui entrano in contatto: questi sono i Mahā Guna. Letteralmente Guna significa corda, quindi ciò che tiene insieme, una forza sostanziale che spinge alla coesione. I Mahā Guna sono considerati sacri e le loro qualità denotano il grado di sottigliezza, di purezza e l’innata tendenza verso il potenziale innalzamento della coscienza che una sostanza ha in sé. 

Sattva è l’attributo più puro ed è caratterizzato da coscienza, intelligenza, luminosità, pace ed equilibrio.

Rajas è caratterizzato da movimento dinamico, energia cinetica, agitazione, cambiamento e trasformazione. 

Tamas è la qualità dell’inerzia, solidità, opacità, offuscamento e grossolanità.

So che finora tutto sembra molto astratto, ma se pensiamo che dall’incontro e dall’azione dei tre Mahā Guna nascono i tre Dosa, tutto inizia a diventare più chiaro.

Quando i tre Mahā Guna iniziano a interagire tra loro, l’energia cinetica di Rajas emette l’energia vitale che pervade ogni forma di vita biologica, il Prana e da esso ha origine il primo dei Dosa: Vata. Come abbiamo visto da Vata originano Pitta e Kapha. 

Tutti e tre i Dosa possiedono una natura sattvica, solo Vata, però, ha al suo interno una natura più significativamente rajasica. Nel post dedicato al Dosa Vata abbiamo evidenziato la sua caratteristica principale, il movimento, che prende vita direttamente dall’energia cinetica di Rajas.

 Con la creazione dei Dosa, siamo già in contatto con la realtà manifesta e, per fare esperienza di tutto ciò che ci circonda, abbiamo a disposizione dieci coppie di Guna, ovvero le qualità fisiche o chimiche di una sostanza.

 1. GURU–LAGHU: indica il grado di pesantezza, per cui più una cosa è guru, più è pesante; viceversa più è laghu e più sarà leggera.

2. ŚĪTA–UṢṆA: il concetto di freddo (śīta) viene qui identificato come “tutto ciò che si contrae”, quindi che ha un movimento verso l’interno. Di contro caldo (uṣṇa) sta per “tutto ciò che si espande”, creando quindi un movimento verso l’esterno.

3. SNIGDHA–RŪKṢA: indica il grado di umidità/untuosità/lubrificazione, dal livello più alto (snigdha) fino alla totale secchezza (rūkṣa).

4. SĀNDRA–DRAVA: indica il grado di solidità/viscosità, dal massimo (sāndra) al minimo (drava) che corrisponde quindi alla totale fluidità.

5. STHIRA–SARA: indica il grado di mobilità, che va da una massima staticità/stabilità/immobilità (sthira) ad una massima instabilità (sara)

6. STHŪLA–SŪKṢMA: indica il grado di materialità/densità/compattezza/fisicità, che va dal massimo (sthūla) al minimo (sūkṣma), corrispondente alla rarefazione.

7. MANDA–TĪKṢṆA: indica la velocità/rapidità/efficacia/sottigliezza, che va da un minimo corrispondente a manda fino a un massimo che è tīkṣṇa.

8. ŚLAKṢṆA–KHARA: indica il grado di levigatezza e uniformità/omogeneità, dal massimo (ślakṣṇa) al minimo (khara).

9. MṚDU–KAṬHINA: indica il grado di durezza, dal minimo (mṛdu) al massimo (kaṭhina).

10. PICCHILA–VIŚADA: indica il grado di adesività/attaccamento, dal massimo (picchila) al minimo (viśada).

 Attraverso l’analisi della natura attraverso i Guna, potremo identificare la Prakriti, ovvero la natura primaria di tutto ciò che ci circonda. Anche per quello che riguarda l’essere umano, per esempio, alcuni Guna saranno caratteristici di un Dosa specifico, per cui analizzando le qualità di una persona, possiamo arrivare a capire la sua Prakriti, senza bisogno di test spesso troppo generici.